Le vicende dell’identità passano attraverso diverse tappe. Dall’identità personale declinata nell’ambito del gruppo degli adolescenti con il linguaggio dell’appartenenza, si passa a quella declinata in termini di coppia. La coppia differenza del gruppo di coetanei e della famiglia di origine, può rispondere alle nuove esigenze che caratterizzano il diventare adulti, tra cui quella della procreatività. Questa prime esperienze di coppia sono caratterizzanti la costruzione della propria identità. Ma nell’età adulta come si sceglie l’altro, il partner? Per certi versi dei meccanismi non hanno tempo per cui la scelta del partner può essere intesa come la ricerca di una persona con cui realizzare una aspettativa soggettiva. In altre parole che esso sia “ricettivo” d accogliere aspetti proiettati dell’altro, così come a coinvolgersi a sua volta in una dinamica di proiezioni ed identificazioni incrociate. Se le proiezioni sono molto pronunciate, ci si può trovare (proprio come succede in adolescenza) di fronte al rischio di una idealizzazione, sicuramente esaltante nella fase di innamoramento, ma poi se mantenuta allo stesso modo devastante. La tendenza all’idealizzazione, va intesa alla lunga, come l’”illusione” di far combaciare il “compagno di interazione interno” con l’oggetto reale e di conseguenza di un sentimento di unitarietà e coesione del Sé nella misura in cui l ’oggetto corrisponde simmetricamente a tale illusione. Alla fine l’altro scompare nella sua alterità. La costituzione della coppia nasce anche da una forte motivazione inconscia ad apportare modifiche significative a propri modelli di interazione interni. In altre parole, la tendenza all’idealizzazione che tutti gli autori a partire da Freud (1905-1921) hanno sottolineato come caratteristica dell’innamoramento, sarebbe dovuta a due componenti psichiche: la coazione a ripetere (che porta ad un sentimento di ritrovamento del già noto, e quindi di conferma del Sé) e una spinta al cambiamento: il sentimento di amore spinge a entrare in risonanza emotiva con l’altro e parallelamente a bisogno di riparare gli aspetti danneggiati del sé e dell’altro.
Enid Balint (1993): ancora e ancora le persone ritornano ai loro fallimenti nella speranza di porvi rimedio, anche se non possono evitare di ripetere gli stessi fallimenti ancora e ancora. Possiamo dire, allora, che nel matrimonio noi inconsciamente speriamo di trovare una soluzione ai nostri problemi intimi e primitivi, particolarmente per quelli che pensiamo di non poter comunicare in modo accettabile socialmente. In conclusione il partner è scelto sulla consonanza delle rappresentazioni interne: 1. di Sé 2. della coppia interna 3. degli aspetti riparativi. La relazione con l’altro secondo questo schema si attua attraverso un continuo gioco di ingaggio nella relazione e svincola da essa, con l’entrare all’interno della relazione con l’altro attraverso azioni che comunicano sensazioni, emozioni, desideri e bisogni e inducono risposte affettive analoghe o contrarie nel partner e attraverso momenti di svincolo dalla relazione in cui ciascuno torna a una propria dimensione intrapsichica soggettiva arricchito o comunque modificato, dai nuovi apporti dovuti all’incontro con il partner. Si ha a che fare con quella dinamiche che da Diks in poi si è definita come complementarietà inconscia. In cui c’è un livello ottimale di arricchimento reciproco. Ma non sempre le cose vanno così. Ci si può trovare di fronte a squilibri tra proiezioni idealizzazioni e riparazione. La proiezione e tale da raffigurarsi come affidamento all’altro di parti scisse e proiettate di sé, idealizzate e negate. C’è un coniuge portatore che agisce da contenitore di un oggetto interno dell’altro che questi non sa o non può contenere. Assistiamo quindi ad una scissione e negazione di qualcosa di doloroso e disturbante; ogni membro della coppia può più o meno inconsciamente assegnare un ruolo a sé a all’altro nel tentativo di attualizzare una relazione fantasticata di cui è portatore. Agiscono quindi identificazioni proiettive non più intese in senso comunicativo, ma difensivo ed evacuativo. A volte, invece, si assiste addirittura ad una rappresentazione di sé e della relazione caratterizzata da un alto grado di “coazione a ripetere” un trauma, cioè ad una forte tendenza ad essere rimesso in atto nelle relazioni attuali. In questi casi si assiste a quei rapporti matrimoniali che vengono portati avanti all’insegna di una sorta di totale ritiro di investimento affettivo e libidico, fenomeno che può essere compreso solo alla luce di un bisogno di garantirsi, attraverso la ripetizione di tale schema frustrante, un senso gratificante di continuità e prevedibilità dell’oggetto. Vi sarebbe un “imporsi” di relazioni interne disadattative su quelle reali o, per meglio dire, di anticipazioni negative che confermano le relazioni interne invece di smentirle, e in tal modo, portano al fallimento di quell’aspetto riparativo delle relazioni umane. Insomma se generalmente, si può parlare del matrimonio come una sorta di relazione terapeutica naturale (Dick ,1967; Bannister, Pincus, 1965; Mainprice, 1974; Pincus , Dare, 1978), in questo ultimo caso non è possibile alcuna riparazioni. Osserviamo quelle coppie che non possono stare insieme, ma che non possono neanche separarsi. In ogni caso questi due livelli non si escludono: esse devono essere intese come appartenenti ad un continuum e possono anche variare nel 8 cicli di vita di una coppia. . In sintesi il risultato di un legame è una condivisione di parti, una “ibridizzazione” del proprio essere attraverso l’apporto dell’altro. L’importante è che ci sia un dinamismo e la possibilità di riallineamenti dei partecipanti della coppia. Spesso se manca tale “elasticità” il legame può andare incontra ad una rottura. In caso di separazione, l’individuo perde al di là della persona reale, un aspetto del proprio Sé, cioè un aspetto complementare dell’oggetto, ma anche il senso di identità ed equilibrio interno affidato all’essere in coppia e dovrà essere elaborato un lutto. La difficoltà del così detto divorzio psichico sta nel fatto che l’altro coniuge vive nella propria persona e che per “sciogliersi” da lui occorre un opportuno lavoro di distacco e lutto da sé. (Cigoli, 1998) Le vicende del lutto dipendono anche dal tipo di legame e collusione presente nella relazione di coppia. Maggiori erano le proiezione e di grado “patologico” più complicato risulta essere la separazione ed il lutto. L’individuo si trova regredito, ad un periodo in cui la propria identità era incerta. Ritornando spesso a casa dei propri genitori ritorna ad un momento di dipendenza dal quale credeva di essere sfuggito. In sintesi spesso e specialmente in quei casi dove il legame era stato una fuga in avanti verso l’assunzione di una identità fittizia, ci si ritrova che “la fine rimanda al principio, vale a dire a ciò che al legame era affidato in termini di soddisfazione, di bisogni, attesa, definizione e perfezionamento di sé, appartenenze famigliari e sociali. “(Cigoli, 1998). La clinica ci insegna che spesso i legami di coppia si sono instaurati e prolungati dall’adolescenza oppure dall’adolescenza hanno trovato energia e sostanza. Ma nello stesso tempo essi hanno impedito il naturale progredire del processo di soggettivazione, che è propedeutico a qualsiasi rapporto con l’altro adulto, in un incontro che è fatto non più da comprensione ma dal confronto: “la parola confronto è usata qui a significare che una persona che è diventata adulta sta lì e rivendica il diritto di avere un punto di vista personale che può avere l’appoggio di altre persone adulte” (Winnicott -Gioco e realtà) Dal nostro punto di vista clinico questo momento dall’essere un momento triste doloroso e involutivo diventa un’occasione per riattivare il processo di soggettivazione, iniziato con l’esperienza articolata fatta nel corso dell’adolescenza da ciascuno dei due partner. È proprio tale esperienza che permette la ridefinizione globale della personalità e costituisce, da questo punto di vista, il cardine delle rappresentazioni interne cui l’adulto si rifà in un continuo gioco di ingaggio e separazione dalla relazione, di prossimità e allontanamento o di intimità e intrusione nel gioco reciproco di proiezione e introiezione. ( Rusczynski, Fisher, 1995). I processi di legamento e slegamento si coniugano in modo specifico proprio in adolescenza con una dinamicità che consente il processo di soggettivazione. Come abbiamo visto è questa funzione o capacità di ingaggiarsi in un legame e disingaggiarsi che rende il legame di coppia virtuoso e capace di “nutrire” i partners. Ma se questo tipo di funzione non è stata bene assimilata la possibilità osmotica di prendere e dare in un legame di coppia risulta inibito. Perché se è il mantenimento di una chiara individuazione a costituire elemento di arricchimento della vita di coppia, è innegabile che proprio il soggetto ben individuato riesce a stabile legami proficui. Il processo di soggettivazione, ininterrotto per tutta la vita, implica un soggetto che ha da inventare se stesso senza sosta mediante legami, nella loro necessità come nella loro incessante rimessa in discussione e nella potenzialità permanente di disfarli, rifarli, gli stessi o altri allo stesso modo o diversamente. Soggettivare significa far emergere alla coscienza elementi preconsci, soggetti o meno alla rimozione, oppure prendere coscienza di un qualche elemento fino a quel momento escluso dalla “coscientizzazione”. Quando la ricerca incessante del senso dell’essere non si conclude anzi diventa senza speranza, qualunque sia l’intensità o la qualità dei conflitti in gioco, prevarrà il ricorso alla scissione, al disinvestimento, alla espulsione dalla psiche, la confusione nelle identificazioni o nelle relazioni oggettuali. La sfida che abbiamo accettato nel nostro lavoro con soggetti che vivono o hanno vissuto un evento di separazione ma che continuano a muoversi in un contesto poco definito di sé, è stato quello di poter riattivare un processo di soggettivazione che abbiamo considerato bloccato o inibito. La cura analitica è in grado di offrire al soggetto, tramite un Io Più disposto all’accesso all’Es, meno schiacciato dal Super-Io, uni spazio di apertura a se stesso e al mondo. La perspicacia dell’analista consisterà proprio nel reperirlo dietro a ciò che dissimula o lo ha fatto apparentemente scomparire.