Legami Pericolosi

In questo lavoro vogliamo riflettere insieme a voi rispetto alle nostre osservazioni cliniche sulla natura dei legami che hanno funzionato nel tenere insieme e nel separare i nostri pazienti. Crediamo fortemente che siano da tenere a mente aspetti sociali e psicodinamici, perchè a nostro avviso, si influenzano vicendevolmente. La natura del legame all’interno di un contesto sociale e culturale è radicalmente mutato nell’ultimo secolo. È un fatto recente riferirsi, per parlare di legame, al termine “relazione” piuttosto che al termine famiglia per indicare un vincolo sentimentale stretto e continuativo con una altro da sé. D’altro canto all’interno dello stesso contesto sociale coesistono ormai una molteplicità di forme famigliari: mononucleari, ricomposte, ricostruite, mono parentali, coppie omosessuali, ma anche un numero crescente di famiglie con figli non biologici, o famiglie nucleari che sempre meno ricalcano i modelli tradizionali più radicati. Anche il linguaggio usato per descrivere il nuovo panorama famigliare è l’espressione della complessità e delle diverse prospettive teorico epistemologiche attraverso cui il tema viene affrontato. C’è chi sostiene che estendere il termine famiglia alle nuove forme sia un’operazione confusiva che invece di definire più chiaramente la specificità dell’oggetto porta ad uno svuotamento di significato del termine (Cigoli, 1995). C’è chi teme che continuare a servirsi del termine famiglia possa oscurare la grande diversità di forme attraverso le quali legami primari si declinano nella società contemporanea (Scansoni). Al di là della disputa terminologica in corso, si può però affermare che la molteplicità delle forme famigliari è un fenomeno che viene ormai da tutti interpretato come il risultato del processo sociale e culturale di individualizzazione dove la priorità è data dalla realizzazione di sé. Un tempo i vincoli di sangue da un lato, e quelli del luogo (la”casa”) dall’altro erano normalmente percepiti come determinanti l’esistenza della persona. La persona moderna non riceve da destinazione, lo scopo della sua vita al momento della nascita, come accadeva nell’epoca premoderna, quando si nasceva per fare questo piuttosto che quello, per morire in questo o in quel ruolo, nel bene o nel male. La persona moderna nasce con infinite possibilità senza un telos socialmente predisposto su cui fare affidamento. La persona moderna è una persona contingente. (Heller 1990) La persona moderna deve determinare da sola il quadro stesso della sua vita. In altre parole se un tempo la struttura sociale della famiglia aveva una funzione sì di controllo, ma anche strutturante e/o contenitiva del sé proteggendo aspetti di fragilità, di identità poco chiare e definite, oggi in questo scenario di disorientamento, con la crisi dei modelli di riferimento, le carenze di coesione e di integrazione del sé appaiono più evidenti. (Baumann definisce la nostra la “società dell’incertezza”) In modo più o meno esplicito, quindi, la società moderna valorizza gli aspetti onnipotenti ed immaturi del sé perché tutto sembra possibile ed il limite è sempre meno chiaro; così facendo però collude inevitabilmente con gli aspetti di onnipotenza tipica del narcisismo amplificandoli qualora presenti. È divenuto quasi un luogo comune affermare che la nostra epoca è l’epoca delle configurazioni narcisistiche o più in generale dei disturbi di identità. Tutto il gioco quindi della strutturazione di sé nell’infanzia è nel dialogo tra relazioni narcisistiche e oggettuali. Il bambino trova l’oggetto attraverso un’elaborazione dialettica tra aspetti narcisistici ed edipici. Tale relazione trova nell’adolescenza un periodo fondamentale dove tutto deve essere rimaneggiato per raggiungere la propria identità di soggetto nel mondo degli adulti. È durante l’adolescenza che i ragazzi e le ragazze si pongono il tema esistenzialista dello “scegliere se stessi”. Questo tema può anche essere considerato come una descrizione della forma di esistenza tipica dei nostri tempi moderni. Filosoficamente parlando, si può dire che è come se l’adolescente nella sua ricerca di libertà si gettasse in un vuoto, che, per usare il gergo esistenzialistico- è il Nulla. Ma il Nulla in senso hegeliano è necessario per divenire: (si nasce, si è nulla, per divenire). In definitiva la scelta di ognuno, ragazzo o ragazza o adulto che sia, è divenire ciò che si è. La libertà, tanto importante e ricercata dai giovani di tutti i tempi a dire la verità, come Nulla diviene una benedizione soltanto se riesce la scelta di se stessi. Se questa è filosofia nella realtà divenire se stesso dipende da ciò che uno porta dentro, si deve parlare di concreti ragazzi e ragazze, ognuno dei quali ha delle peculiarità, ha un diverso complesso di attitudini, delle esperienze infantili uniche, inclinazioni etc. La persona che sceglie se stessa abita consapevolmente nel nostro tempo nel nostro mondo particolare, e anche nel suo ambiente, nell’ambito delle sue relazioni e dei suoi legami, come nelle istituzioni alle quali appartiene. In realtà lo «scegliere se sessi» è l’equivalente moderno di «conoscere se stessi» e non di «fare se stessi». In questo senso quindi, è presupposta l’interazione con altri sè. Quando si sceglie se stessi come uomini di una particolare vocazione (Weber) si sceglie se stessi nella differenza, e la scelta è irrevocabile. È attraverso la scelta che si diviene ciò che si è: si acquista una identità soggettiva. La parola identità ha un’incerta etimologia sia in latino “identitas”, sia in greco “tautotes”, essa comunque designa due campi di significazione: 1. identità come ciò che si oppone all’alterità; questo concetto è chiaramente interpretato dalla parola latina “ipse”. 2. Identità come permanenza dell’oggetto, espressa dalla parola latina “idem”. Appare chiaro, quindi, che perché esista qualsiasi forma di identità sia necessario lo spazio di una qualsiasi forma di relazione; ovvero perché esista un identico deve esistere anche un diverso. Quindi è evidente, già dalla distinzione etimologica, che il processo di costruzione dell’identità è di per se stesso relazionale, in quanto presuppone il riconoscimento di sé tramite una graduale differenziazione dall’altro, riconosciuto pertanto come diverso. Un’identità stabile e fondata su un sicuro senso di autostima , comporta infatti una rappresentazione di sé e dell’altro unitaria ed integrata, e tutto questo rende l’individuo capace di sperimentare gli affetti in modo flessibile e modulare. Diviene così possibile tollerare ed integrare l ’ambi valenza , a favore di una “sana” relazione con l’altro, all ’ interno della quale poter sperimentare e tollerare la dipendenza, sentita come gratificante e non com e una minaccia alla propria identità e ai propri confini. Qualsiasi cosa gli uomini facciano, devono superare l’indeterminatezza. E devono imparare il modo in cui superala per diventare delle persone. L’affermazione dei nostri tempi del mito americano per cui: «si può divenire ogni cosa» ognuno potrà essere il presidente USA, vera o falsa che sia non è pertinente. È sia vera sia pertinente l’affermazione: «si può divenire se stessi». Tale processo come abbiamo ricordato è tipico dell’adolescenza e si dipana nelle sue diverse fasi e diverse declinazioni sociali e personali. Dall’identità personale declinata nell’ambito del rimuginare solitario, al gruppo di adolescenti con il linguaggio dell’appartenenza, a quella declinata in termini di coppia. La coppia a differenza del gruppo di coetanei e della famiglia d ’ origine , p u ò rispondere alle nuove esigenze che caratterizzano il diventare adulti, tra cui quella della procreatività. Le prime esperienze di coppia dell’adolescenza sono all’insegna della costruzione della propria identità, e la ricerca dell’altro è in funzione della ricerca di aspetti di sé nell’altro. Attraverso questa dinamica continua di proiezioni o esternalizzazioni e reintroiezioni che dialetticamente ci si differenza dall’altro e nello stesso tempi ci si ritrova come soggetto: Si diviene ciò che si e’. Se differenziamo noi stessi, muovendo dalla prospettiva di certe esperienze con l’altro , attraverso le esperienze soggettive, la nostra autoriflessione sarà caratterizzata da una mescolanza di elementi a posteriori e di elementi a priori. Il Sé, a questi punto è sia sottoposto e sia creato da questa riflessione. (Heller, 1990) Ma nell’età adulta come si sceglie l’altro? In relazione al rapporto intimo di coppia, innamorarsi può considerarsi uno degli esempi più eclatanti di transfert. Eppure per Freud l’innamoramento “normale” è diverso da quello di transfert. l’amore di transfert viene visto da Freud come un acting out, quindi esso non subisce lo stesso processo di trasformazione presente nella sfera psichica, con (ri)costruzioni successive come accade inevitabilmente con un ricordo. Essendo un fenomeno motorio, incapsulato rispetto ai mutamenti psichici, rimane fedele alle proprie origini. l’”amore normale”, lungi dall’essere una replica, è un fenomeno che ha subito molte trasformazioni, come succede per i sogni che sono “deformati e mutilati dal ricordo (1899), anche. “nella vita amorosa normale persistono soltanto pochi tratti che tradiscono in modo inconfondibile il modello materno (1911)quindi il modello di fedeltà assoluta è applicabile all’acting out, ma non al ricordo in genere e neppure all’”amore normale”. In ogni caso Freud avanza l’idea che, per quel che riguarda l’amore, non ci sia una vera distinzione tra stati agiti e stati non agiti. L’amore viene sempre agito. L’esperienze dell’innamoramento e dell’amore hanno una vicenda iniziale di sviluppo molto densa e trova la sua origine nell’infanzia. Esaminando ancora questo terreno scopriamo che le “radici” e i “modelli” infantili comprendono molto di più della scelta oggettuale in senso stretto. Includono, se non altro, le particolarità del linguaggio fisico dell’amore, il livello e la profondità di partecipazione intersoggettiva, il modo di creare reciprocamente il significato e l’intensità del bisogno di patteggiare un significato comune, il grado di originalità dell’oggetto scelto e la dinamica, per tempi ed intensità, del processo di innamoramento. (Stern…) Anche se per certi versi alcuni meccanismi di scelta rimangono uguali nel tempo, la scelta dell’altro può essere intesa come la ricerca di una persona con cui realizzare una aspettativa soggettiva. In altre parole l’altro deve essere “ricettivo” ad accogliere aspetti proiettati del soggetto, così come a coinvolgersi a sua volta in una dinamica di proiezioni ed identificazioni incrociate. Se le proiezioni sono molto pronunciate, e soprattutto immodificabili ci si può trovare (proprio come succede in adolescenza) di fronte al rischio di una idealizzazione, sicuramente esaltante nella fase di innamoramento, ma se protratta nel tempo devastante . La tendenza all’idealizzazione, va intesa alla lunga, come “l’illusione” di far combaciare il “compagno interno” con l’oggetto reale e di conseguenza di sperimentare un sentimento di unitarietà e coesione del Sé nella misura in cui l’oggetto corrisponde simmetricamente a tale illusione. Alla fine l’altro scompare nella sua “alterità”. Hanna Segal (1983)scrive: l’istinto della vita include l’amore del sé, ma quell’amore non è in opposizione a una relazione d’amore con un oggetto. Amare la vita significa amare se stessi e l’oggetto che dà la vita. Nel narcisismo, sia le relazioni che danno la vita sia il sano amore di sé sono parimenti intrecciati. In altre parole, la tendenza all’idealizzazione che tutti gli autori a partire da Freud (1905-1921) hanno sottolineato come caratteristica dell’innamoramento, sarebbe dovuta a due componenti psichiche: la coazione a ripetere (che porta ad un sentimento di ritrovamento del già noto, e quindi di conferma del Sé) e una spinta al cambiamento: il sentimento di amore spinge a entrare in risonanza emotiva con l’altro e parallelamente a bisogno di riparare gli aspetti danneggiati del sé e dell’altro. In questo senso l’uso dell’altro e dell’amore ha delle peculiarità traslativi caratteristiche. Possiamo ricordare che Freud considerava l’amore di transfert il tentativo della paziente di guarire se stessa attraverso l’amore; nelle sue narrazioni non aveva grande rilevanza la riparazione dell’oggetto amato. L’ammonimento di Freud intende anche mettere in risalto che la qualità particolare dell’oggetto d’amore (analista) è in larga parte irrilevante, coerentemente con quanto aveva già spiegato il relazione al ruolo del narcisismo(1914b) nella composizione della libido. in effetti, che parlasse di transfert al singolare e non più al plurale è segno che ne aveva compreso la natura libidica. Vale la pena citare il passo in cui Freud lo chiarisce in maniera esplicita nell’introduzione al narcisismo: ……il nevrotico cerca così una strada che, a partire dallo sperpero libidico applicato agli oggetti, lo riporti al narcisismo. Si tratta della cura attraverso l’amore, che di norma egli predilige rispetto alla cura analitica. Addirittura egli non riesce a credere in un meccanismo terapeutico diverso dall’amore, per lo più porta nel trattamento le sue aspettative a riguardo e le dirige sulla persona del medico che lo ha in cura. Alla realizzazione di questo progetto terapeutico si frappone naturalmente l’incapacità di amare del paziente, dovuta all’ampiezza delle sue rimozioni. (pag147) La costituzione della coppia nasce anche da una forte motivazione inconscia ad apportare modifiche significative a se stessi e ai propri oggetti interni e ai legami tra loro. Insomma come dice Freud di trovare la cura attraverso l’amore. In modo particolare l’esperienza infantile ed il modello della coppia genitoriale ha molta importanza sia nella ripetizione dello stesso tipo di legame sia nel tentativo di ripararla. Enid Balint (1993): ancora e ancora le persone ritornano ai loro fallimenti nella speranza di porvi rimedio, anche se non possono evitare di ripetere gli stessi fallimenti ancora e ancora. Possiamo dire, allora, che nel matrimonio noi inconsciamente speriamo di trovar e una soluzione ai nostri problemi intimi e primitivi , particolarmente per quelli che pensiamo di non poter comunicare in modo accettabile socialmente. In conclusione il partner è scelto sulla consonanza: 1. delle rappresentazioni interne del Sé 2. delle rappresentazioni interne della coppia interna 3. delle rappresentazioni interne degli aspetti riparativi. La relazione con l’altro, secondo questo schema, si attua attraverso un continuo gioco di ingaggio nella relazione e svincola da essa, con l’entrare all’interno della relazione con l’altro attraverso azioni che comunicano sensazioni, emozioni, desideri e bisogni e inducono risposte affettive analoghe o contrarie nel partner e attraverso momenti di svincolo dalla relazione in cui ciascuno torna a una propria dimensione intrapsichica soggettiva arricchito o comunque modificato, dai nuovi apporti dovuti all’incontro con il partner. (Zavattini, Norsa….) Ma non sempre le cose vanno così. Ci si può trovare di fronte a squilibri tra proiezioni, idealizzazioni e riparazione. In questi casi la proiezione si raffigura come: affidamento all’altro di parti scisse e proiettate di sé, idealizzate e negate. C’è un coniuge portatore che agisce da contenitore di un oggetto interno dell’altro che questi non sa o non può contenere. Assistiamo quindi ad una scissione e negazione di qualcosa di doloroso e disturbante; ogni membro della coppia può più o meno inconsciamente assegnare un ruolo a sé e all’altro nel tentativo di attualizzare una relazione fantasticata di cui è portatore. Agiscono quindi identificazioni proiettive non più intese in senso comunicativo, ma difensivo ed evacuativo. A volte, invece, si assiste addirittura ad una rappresentazione di sé e della relazione caratterizzata da un alto grado di “coazione a ripetere” un trauma, che ha una forte tendenza ad essere rimesso in atto nelle relazioni attuali. In questi casi si assiste a quei rapporti matrimoniali che vengono portati avanti all’insegna di una sorta di totale ritiro di investimento affettivo e libidico, fenomeno che può essere compreso solo alla luce di un bisogno di garantirsi, attraverso la ripetizione di tale schema frustrante, un senso gratificante di continuità e prevedibilità dell’oggetto.(Zavattini, Norsa..) Vi sarebbe un “imporsi” di relazioni interne disadattative su quelle reali o, per meglio dire, di anticipazioni negative che confermano le relazioni interne invece di smentirle, e in tal modo, portano al fallimento di quello aspetto riparativo delle relazioni umane. Insomma se generalmente, si può parlare del matrimonio come una sorta di relazione terapeutica naturale (Dick ,1967; Bannister, Pincus, 1965; Mainprice, 1974; Pincus , Dare, 1978), in questo ultimo caso non è possibile alcuna riparazioni. Osserviamo quelle coppie che non possono stare insieme, ma che non possono neanche separarsi. Si ha a che fare con quella dinamica che da Diks (1967) in poi è stata definita come collusione/complementarietà inconscia. La dimensione di complementarieta’ inconscia, può essere definita come il livello ottimale di integrazione e arricchimento reciproco; mentre quella di collusione inconscia, come il misconoscimento, evacuazione e controllo reciproco di aspetti aggressivi o iper idealizzati. Queste due dimensioni però, devono essere intese come appartenenti ad un continuum e possono anche variare nel ciclo di vita di una coppia.. In sintesi il risultato di un legame è una condivisione di parti, una “ibridizzazione” del proprio essere attraverso l’apporto dell’altro. L’importante è che ci sia un dinamismo e la possibilità di riallineamenti dei partecipanti della coppia. Spesso se manca tale “elasticità” il legame può andare incontra ad una rottura. A volte ci si trova anche di fronte a famiglie in cui il legame, impossibile da realizzare, viene sostituito dal controllo sadico e dal possesso. La difficoltà d’accesso al legame, spesso secondaria a processi di soggettivazione bloccati nel succedersi delle generazioni, fa spesso sì che ciascun individuo non sia veramente tale se non in rapporto con altri. Si realizza una sorta di psichismo gruppale primitivo, privo di separazione. A quel livello, il gioco delle identificazioni proiettive si fa potente, l’individuazione irraggiungibile; lo psichismo è arcaico e inanella le persone della famiglia in un’unica ‘collana psichica’. Non c’è comunicazione se non si entra nel circuito. (Baldini, 2006) In caso di separazione, l’individuo perde al di là della persona reale, un aspetto del proprio Sé, cioè un aspetto complementare dell’oggetto, ma anche il senso di identità ed equilibrio interno affidato all’essere in coppia e dovrà essere elaborato un lutto. La difficoltà del così detto divorzio psichico sta nel fatto che l’altro coniuge vive nella propria persona e che per “sciogliersi” da lui occorre un opportuno lavoro di distacco e lutto da sé. (Cigoli, 1998) Le vicende del lutto dipendono anche dal tipo di legame e collusione presente nella relazione di coppia. Maggiori erano le proiezioni e di grado “patologico”, con scissioni e negazioni, più complicato risulta essere la separazione ed il lutto. L’individuo sperimenta una sorta di regressione, ad un periodo in cui la propria identità era incerta. Ritornando spesso a casa dei propri genitori ritorna ad un momento di dipendenza dal quale credeva di essersi affrancato. In sintesi spesso e specialmente in quei casi dove il legame era stato una fuga in avanti verso l’assunzione di una identità fittizia, ci si ritrova che “la fine rimanda al principio, vale a dire a ciò che al legame era affidato in termini di soddisfazione, di bisogni, attesa, definizione e perfezionamento di sé, appartenenze famigliari e sociali. “(Cigoli, 1998). Cioè al punto di partenza dal quale la vicenda di conoscere se stessi o divenire se stessi comincia. Tuttavia, e paradossalmente noi non possiamo conoscere noi stessi, né gli altri possono sapere ciò che noi «realmente» siamo, prima che noi diveniamo ciò che siamo, (se non ci si riesce, ci si comporta come i personaggi del teatro di marionette). Ma se «scegliere se stessi» è l’equivalente moderno del «conoscere se stessi», e si conosce se stessi solo quando si diviene ciò che si è, come si può scegliere se stessi? “metterò alla prova la mia anima” dice l’eroe di Browning. Quanti ragazzi e ragazze hanno fatto di questo verso la loro bandiera! Qualsiasi cosa si scelga esistenzialmente, nello scegliere se stessi è energia. Per citare Aristotele, è «l’attività dell’anima durante tutta la nostra vita». Quindi non c’è consapevolezza di ciò che si è finche non si diviene ciò che si è. Questo è il dramma dell’ uomo moderno. Poiché oggi il corso della vita non è predisposto dalle aspettative, dagli ideali e dalle determinazioni della società, ognuno deve «sforzarsi» per scoprire quale sia il genere di azioni adeguato al proprio carattere. La clinica ci insegna che spesso i legami di coppia si sono instaurati e prolungati dall’adolescenza oppure dall’adolescenza hanno trovato energia e sostanza. Ma nello stesso tempo essi hanno impedito il naturale progredire del processo di soggettivazione, che è propedeutico a qualsiasi rapporto con l’altro adulto, in un incontro che è fatto non più dalla comprensione ma dal confronto: “la parola confronto è usata qui a significare che una persona che è diventata adulta sta lì e rivendica il diritto di avere un punto di vista personale che può avere l’appoggio di altre persone adulte” (Winnicott -Gioco e realtà) Dalla nostra esperienza clinica questo momento dall’essere un momento triste doloroso e involutivo diventa un’occasione per riattivare il processo di soggettivazione, iniziato con l’esperienza articolata fatta nel corso dell’adolescenza da ciascuno dei due partner. D’altra parte il processo di soggettivazione, i cui momenti cruciali hanno luogo nell’adolescenza, potrebbe subire in seguito delle interruzioni (talvolta definitive) ed eventualmente delle “riprese” verso l’adultità. (Goldber e Givre, 2003). La perdita e la depressione, possono addirittura essere l’innesco della riattivazione della soggettivazione nell’età adulta Probabilmente proprio l’esperienza di perdita del partner e la depressione associata obbligano alla ridefinizione globale della personalità. Fedida parlava della depressione come di un tentativo di “rianimazione del sé”, come di una possibilità di “sentirsi ancora vivi” e di uscirne. La ripresa del processo di soggettivazione che, con il nostro intervento psicoterapeutico, promuoviamo, costituisce, da questo punto di vista, il cardine delle rappresentazioni interne cui l’adulto si rifà in un continuo gioco di ingaggio e separazione dalla relazione, di prossimità e allontanamento o di intimità e intrusione nel gioco reciproco di proiezione e introiezione con l’altro. ( Rusczynski, Fisher, 1995). Recentemente una donna del gruppo raccontando un sogno in cui tirava fuori una branda e un materasso da dietro l’armadio evocando il rapporto che esiste tra la figlia adolescente e il suo ragazzo, racconta che ha deciso di troncare una storia con un uomo che non la riconosceva dichiarandosi stanca di essere accondiscendente con l’altro,… di voler smettere di essere “come tu mi vuoi”. Lo stesso una donna in terapia individuale dichiara di essere stanca di essere guidata da altri, che altri scegliessero per lei: prima il padre e poi il marito che decidevano anche quando essere allegra, oltre il vestito o il trucco. È solo nella scelta esistenziale, nello scegliere se stessi, che gli uomini e le donne della modernità possono trasformare la propria contingenza in destino. Se falliscono in ciò, altri sceglieranno per loro. Si può dire con Kierkegaard, che se non scegliete voi stessi, altri sceglieranno per voi. Tutte le scelte fatte da altri diverranno così revocabili, ed essi, a tempo debito, le ripudieranno. Penseranno all’infinito a cosa sarebbe accaduto se avessero scelto altrimenti, cosa sarebbero divenuti se avessero fatto questo piuttosto che quello, se avessero sposato un altro uomo o un’altra donna, se fossero emigrati, piuttosto che restare nel paese natale, se avessero seguito questa particolare strada piuttosto che un’altra, e così via ad infinitum. Si affanneranno a costruirsi una vita, a scegliere mezzi per la realizzazioni di scopi, ed una volta che li avranno realizzati, proveranno stanchezza, piuttosto che soddisfazione. Saranno sempre insoddisfatti della «vita», di se stessi, della gente che li circonda. Si pentiranno delle cose che hanno fatto, e di quelle che non hanno fatto. Andranno da uno psicoanalista, che non sanerà la loro nevrosi. Perché uno psicoanalista, in fondo è una persona che crea le condizioni perché un’altra persona scelga se stessa. E se la persona non sceglie, l’analista ha raggiunto i limiti del suo potere, e non può fare più nulla. Se è vero che i processi di “legamento“ e “slegamento“ (Cahn) si coniugano in modo specifico proprio in adolescenza, con una dinamicità che consente il processo di soggettivazione, è anche vero che gli stessi processi possono avere luogo in età adulta quando ci si trova in situazioni come quelle che si sottopongono alla nostra attenzione. Come abbiamo visto è questa funzione o capacità di ingaggiarsi in un legame e disangaggiarsi che rende il legame di coppia virtuoso e capace di “nutrire” i partners. Qualora questa funzione non sia stata bene assimilata, la possibilità osmotica di prendere e dare in un legame di coppia, risulta inibito. In fondo se è il mantenimento di una chiara individuazione a costituire elemento di arricchimento della vita di coppia, è innegabile che proprio il soggetto ben individuato riesce a stabile legami proficui. Il processo di soggettivazione, ininterrotto per tutta la vita, implica un soggetto che ha da inventare se stesso senza sosta mediante legami, nella loro necessità come nella loro incessante rimessa in discussione e nella potenzialità permanente di disfarli, rifarli, gli stessi o altri allo stesso modo o diversamente. (Cahn…) Esempio clinico: nella nostra esperienza abbiamo osservato una giovane coppia con un bambino di pochi mesi , separatasi in modo piuttosto conflittuale, ma che a causa del figlio, i genitori erano comunque costretti ad una relazione. Abbiamo trattato lui in un gruppo, e dopo poco più di un anno di terapia, essi hanno superato la conflittualità e hanno deciso di tornare insieme. Il legame rotto ha potuto essere rifatto in modo nuovo: quello che è successo in terapia ha consentito di rifare il legame su basi nuove. Questo episodio che lui ci ha raccontato forse è indicativo delle trasformazioni avvenute: “un giorno avevamo comprato un videoregistratore. Lei stava cercando di attivarlo, ma non riuscendoci avev a delle intemperanze, e se la prendeva anche con me (il marito). In passato –lui raccontava- queste recriminazioni sarebbero state vissuta da me come accuse e mi avrebbero ferito in modo tale da provocare una reazione altrettanto offensiva, ma questa volta mi sono reso conto che non era possibile che lei ce l’avesse veramente con me, io non c’entravo niente e quindi non me la sono presa . Successivamente, insieme a lei ho preso il libretto di istruzioni e insieme siamo riusciti a far funzionare l’apparecchio”; e, possiamo dire, a riparare il legame. Soggettivare significa far emergere alla coscienza elementi preconsci, soggetti o meno alla rimozione, oppure prendere coscienza di un qualche elemento fino a quel momento escluso dalla coscientizzazione. Esempi clinici: Una paziente ci dice di aver sognato che stava in una casa nuova, e che c’era una parete bianca da affrescare. Un’altra dice che si sente come un libro con le pagine bianche. Un’altra ancor, dopo un paio di anni di trattamento dice che sente di non essere più quello che era, ma che non è ancora. Insomma si tratta di situazioni in cui il proprio sé si sta rimaneggiando ; la storia personale rivisitata in analisi porta al compito di ridisegnare l’ immagine del proprio sé. Un ultimo esempio è forse ancora più esplicativo: una paziente nel gruppo ci racconta, alla ripresa dopo l’estate che il capoufficio, salutandola per le ferie le disse: “allora…. buone vacanze e…mi raccomando … ritorni più donna!”-questa frase la colpì molto. Perché, cosa significava tornare più donna? eppure lei era sicuramente donna, sposata, separata, diverse gravidanze, un figlio. Questo interrogativo lo porta in terapia, in modo problematico: il sé soggetto-donna allora deve essere meglio definito? si aprono molti aree un cui esplorare non solo l’essere donna ma la maniera d’esserlo per lei. Ma come si fa?. La via da seguire sembra indicarla un altro paziente dello stesso gruppo. Egli non più giovanissimo, si è separato diverso tempo fa e ha avuto diverse relazioni che non si sono mai consolidate. Ultimamente si è interrotta un’ultima relazione e lui è rimasto solo . Frequentando un nipotino ha avuto occasione di incontrare più spesso la ex moglie, e da più parti gli è stata prospettata la possibilità di essere di nuovo insieme a lei, ma lui “ha il cuore per batte per un’altra”. In tutto questo pensa che sia meglio stare da solo, e al contrario del passato riesce a starci e a considerare che per il momento è la cosa migliore “non è bene rimettersi in casa di qualcuna… anche se abito fuori Roma e ci metto un po’ ad arrivare al lavoro, però non sto male..”. Ecco che l’attesa è la risposta; nell’attesa si può disegnare o ridisegnare una immagine di sé, la possibilità di disegnarsi nell’affresco che il sogno della paziente precedente si apprestava a portare avanti nella parete della sua casa interna. Quando la ricerca incessante del senso dell’essere non si conclude anzi diventa senza speranza, qualunque sia l’intensità o la qualità dei conflitti in gioco, prevarrà il ricorso alla scissione, al disinvestimento, alla espulsione dalla psiche, la confusione nelle identificazioni o nelle relazioni oggettuali. La sfida che abbiamo accettato nel nostro lavoro con soggetti che vivono o hanno vissuto un evento di separazione ma che continuano a muoversi in un contesto poco definito di sé, è stato quello di promuovere la riattivazione di un processo di soggettivazione che abbiamo considerato bloccato o inibito. La cura analitica è in grado di offrire al soggetto, tramite un Io più disposto all’accesso all’Es, meno schiacciato dal SuperIo, uno spazio di apertura a se stesso e al mondo, per cui la relazione tra il soggetto e l’altro ha una funzione soggettivante. La perspicacia dell’analista consisterà proprio nel reperirlo dietro a ciò che dissimula o lo ha fatto apparentemente scomparire. Si apre una stagione di sogni: il primo di Artemide e …. In cui ci sono delle cose da aggiustare: Artemide sogna che entra nella casa di un amico psicologi attraverso una porta scardinata. Lei la figlia e l’ex marito si adoperano per ripararla. Raccontando il sogno non fa che guardare la porta della stanza di terapia. Successivamente sogna che si trovava in un palazzo ed ad ogni piano c’era una piscina, scendendo non si decide in quale piscina buttarsi, nessuna andava bene, qualcuno nuotava e lei non sapeva dire se si trattava di maschi o femmina. Visti da dietro erano uguali e anche il costume non era indicativo. Alla fine scende a terra e va ne supermercato che è nel basamento e si compra qualche cosa d mangiare Il sogno di Augusto: Stava guidando in una strada di montagna, contorta e piena di tornanti, la moglie era seduta dietro e quando lui la guarda attraverso lo specchietto retrovisore per il controllo dell’auto precipitano giù in un burrone. Dice di essere stato a casa della moglie con i bambini mentre lei era via, e di avere rivissuto parte delle sensazioni di quando era a casa con loro. “E’ come una parte di me che muore” dice. Rispetto al sogno Augusto racconta che è sempre rimasto colpito dal fatto che i suoi genitori non hanno mai manifestato amore o passione tra loro. Un bacetto a volte, ma mai un bacio appassionato, o un atteggiamento che facesse trapelare una relazione passionale tra loro. Mentre si parla Artemide fruga nella borsa e appena può legge un biglietto che le ha scritto la figlia; recita così: “Artemide è un nome speciale, chi la tocca si fa male, chi la guarda è intelligente, chi la lascia è un deficiente”. Lei rimase molto colpita dal biglietto cha ha trovato la mattina sul frigo. E ha chiesto alla figlia cosa intendeva, perché ”chi la tocca si fa male”, e la ragazzina le ha risposto che è come un diamante. Il gruppo considera come i figli capiscano meglio dei genitori e che non è “la testa” che fa capire ma forse il cuore o altri sensi. Ci si domanda perché la moglie di Claudio stesse seduta sul sedile posteriore dell’auto: è come se una parte di sé legata alla istintualità fosse messa da parte, quasi dissociata, come se non potesse essere integrata con gli aspetti di affettività. In questo momento il gruppo ha portato aspetti della propria esperienza emozionale non verbalizzabili , e pertanto solo drammatizzabili; come a dire che l’unico modo di contattarli è quello di viverli e riattualizzarli . È come se il gruppo avesse detto: “non ci parlare di come si fa l’amore ma fallo”, ma nello stesso tempo lo impedisce. Insomma si tratta di “mettere alla prova l’anima”. L’operazione che portiamo avanti nel gruppo attraverso il trattamento analitico è analogo a quel “gioco” che si trova nelle pubblicazioni enigmistiche, dove si congiungono dei punti secondo i numeri e poi compare un’immagine. Questo “gioco” è evocativo di un’operazione che mette in evidenza una immagine che già esiste ma che solo l’operazione di legame tra i punti fa emergere. In fondo il “giocatore” crea e trova nello stesso tempo un’immagine che già esiste, ma che non può essere vista fino a che non si fanno i legami. L’operazione psichica di soggettivazione è analoga: fare legami psichici consente di creare e trovare nello stesso tempo se stessi. L’uso della matita in questi tipi di “giochi”, consente di fare legami tra i punti, che possono essere anche cancellati, interrotti e rifatti nel maniera più consona, acciocché il giocatore trovi e crei l’immagine di sé come soggetto nel mondo.

Autori: Lionello Petruccioli, Franca Aceti, Melania Bonello

Bibliografia
Baldini, 2006 letto nelle “Serata Scientifica ARPAd” ; in press in AeP. Adolescenza e Psicoanalisi.
Bannister, Pincus, 1965;
Baumann
Cahn
Cigoli, 1995
Cigoli, 1998
Dare, 1978,
Dick ,1967;
Enid Balint ,1993

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